Ho odiato tanto gli esseri umani
HO ODIATO TANTO GLI ESSERI UMANI. Li ho odiati per la cattiveria, la violenza, per i vizi, la debolezza, la mancanza di spina dorsale e di integrità. Odiavo tutti davvero, di un odio genuino e tondo. Poi li ho dati per spacciati. “Non ce la faranno mai”, “sono degli schiavi instupiditi”. Poi sono passata alla fase Don Chisciotte: combattevo contro i mulini a vento per aiutarne alcuni. Ho scoperto successivamente che aiutare qualcuno così era la cosa più difficile del mondo e, con la croce rossa sulla fronte, cercavo invano di salvare i dispersi. Quando qualcuno mi chiedeva disperato una mano io mi lanciavo nelle missioni impossibili e neanche a dirlo, il mio aiuto era secco, non poteva essere incisivo perché nasceva dalla pena.
“Poverino”, “Che sfortuna”, “Ti salverò io” e in questo l’ego segretamente gongolava.
ORA HO PERSO TUTTA LA PENA. Vi giuro che è una rivoluzione, non tutti possono comprendere ma non ho più pena per chi vive nella sofferenza. Lo struggimento della pena non era altro che l’altra faccia della colpa.
Qualche sera fa, di ritorno da un ritiro, mi sono fermata a prendere delle pizze da riportare a casa. Ero molto aperta e osservavo ogni persona presente. Ne sentivo i dolori, potevo annusare i loro pensieri fissi e leggere il sapore delle loro emozioni da come muovevano la bocca. Di fronte a gente incredula, mi scendevano lacrime di commozione per questa umanità, dalla natura morbida eppure così irrigidita, vulnerabile come un bambino così seriosamente intristito. Uomini e donne sensibili di natura, io lo so, ma che non vogliono farlo vedere né sentirlo, talmente sensibili che hanno paura di questa infinita emozione che li attraversa se si fermano ad ascoltare. Così impauriti dalla sofferenza che hanno dentro che, disperati, trovano ogni “soluzione” per non sentire oppure entrano nella disperazione e nel vittimismo. Ma io li vedo per ciò che sono: ghiande, querce in potenza.
Oggi dico che amo gli esseri umani. Non da un pensiero romantico, li amo senza un motivo, senza un volto, li amo perché li vedo finalmente. Meravigliosa umanità che ha in sé il seme di Dio. Tu che sei me, io che sono te. Noi che siamo uno insieme, fratelli dello stesso utero.
In questo amore c’è compassione, che è molto diversa dalla pena.
Compassione non significa mettersi i prosciutti sugli occhi e non vedere l’ombra degli altri o il male del mondo, non significa aiutare a tutti i costi, né sobbarcarsi il dolore altrui. La compassione è saggia, sa dire no secchi e severi, sente il dolore del mondo ma non ci si identifica, è la sorella della giustizia che ama oltre misura.
Un’espansione cardiaca riconosce l’altro come una parte di sé e può solo accogliere, anche il suo dolore, senza soffrirne ma riconoscendone la bellezza. Il fuoco che arde di compassione non può che essere al servizio dell’umanità.
“Amici! La felicità sta nel servire la salvezza dell’umanità. Gettate ogni pregiudizio e, raccolte le forze spirituali, aiutate il genere umano. Indirizzate le cose brutte sul sentiero della bellezza. Come l’albero rinnova le foglie, così gli uomini fioriranno sulla via della rettitudine.”
M. Morya
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Con amore,
Gogo Zanemvula
con Paolo Serioli